Grana (grossa) per palati fini
Grana, al femminile, è un grattacapo, una seccatura, una rogna, un grosso problema insomma. Ma al maschile il grana, dal latino granum (chicco) cioè di grana grossa, è il formaggio più noto e diffuso al mondo (così insiste uno slogan), certamente è unico soprattutto per la sua utilizzazione in cucina. Come antipasto con il grissino o il crostino caldo o le bruschette, o le tartine, poi in tutte (o quasi) le paste, i risi, le minestre, le zuppe, dentro mille piatti, per essere, da solo, perfino squisito secondo, accompagnato da delicate marmellate di ortaggi o come contorno con le verdure, e ancora nelle insalatone con la frutta, nelle pizze. E la polenta con qualche boccone di grana appena staccato e basta?
Ma anche nella dieta, prima, durante e a fine pasto, perfino utile in certe terapie dove bisogna far attenzione ai grassi. I medici-dietologi ci fanno notare che il grana è privo di zuccheri, quindi apprezzato dai diabetici e dai colitici per le sue qualità antifermentative
E poi è buono, buonissimo. E questo è universale.
Il formaggio grana ce lo invidia tutto il mondo e ha, da decenni, imitatori senza speranze mentre i cugini francesi, che hanno il culto del formaggio, darebbero chissà cosa per presentare nei loro famosi tableaux anche qualcosa come il grana (e il gorgonzola, tanto per citare un’altra gloria casearia nazionale).
Riferendosi alla zona di produzione del latte e della sua trasformazione, alla tecnologia casearia e alle caratteristiche finali, il grana è identificato soprattutto come parmigiano- reggiano, e grana padano, ma ci sono anche altre denominazioni locali che ben poco modificano, se non per un antico vizio di campanile, caratteristiche e tipicità di questo antico formaggio.
Fatto con latte di vacca crudo, scremato (al grana è destinato un quarto del latte prodotto in Italia) è il vanto dell’arte casearia nazionale dove pure sono presenti, non dimentichiamolo, oltre 500 tipi di formaggi, (tra vaccini, pecorini, caprini, bufalini e misti).
Di questa immensa disponibilità gastronomica, almeno per il grana dobbiamo sicuramente essere riconoscenti (è documentato) alle solite comunità monastiche degli inizi dell’altro Millennio. Ai bravi monaci dobbiamo già certe specialità medicinali contro molti disturbi, le tisane, i decotti, gli infusi, la distillazione con le erbe, la conservazione della frutta, l’utilizzo del miele e le preghiere perché di tutto se ne faccia sempre un uso moderato.
Tanto per dare qualche veloce informazione su cosa mangiamo, in ogni 100 g di formaggio parmigiano sono presenti 36 g di proteine di origine animale, mentre, tanto per fare un paragone non superano i 20-21 g per etto nelle carne di vitello o nel pesce. Il grana – dicono i tecnici assaggiatori – ha un gusto tipico, caratteristico, non piccante, gradevole, stuzzicante l’appetito, di colore leggermente paglierino. E’ stagionato in 14-18 mesi, e si presenta nelle grandi forme da trenta chili.
È un formaggio a pasta cotta, dura, semigrasso a lenta maturazione, si produce dal tredicesimo secolo in Italia Settentrionale quasi dappertutto, Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto, Emilia Romagna.
Nel gatto di Pinocchio il grana abbondava nella trippa; un formaggio “ ardente” per il Casanova, che di certe cose se ne intendeva; semplicemente nutriente per Moliere.