nelle etichette degli alimenti immagine da openfoodfacts.org
25
Set

I “misteri” contenuti nelle etichette degli alimenti

Sarà sicuramente  accaduto ad ognuno di noi, almeno una volta nella vita, di trovarsi a fare la spesa in un supermercato e non sapere quale determinato prodotto acquistare.
I tempi che corrono e le frodi commerciali sempre in agguato ci hanno portato a diffidare delle belle confezioni che fanno mostra di sè sugli scaffali dei supermercati.
L’unica risposta alla martellante domanda: “cosa compro?” è costituita dai contenuti delle etichette che accompagnano gli alimenti posti in vendita.
L’etichetta ha origini remote che risalgono addirittura all’antica Roma; all’epoca, i viveri (vino, olio,  olive, miele etc., ad esclusione del grano) venivano trasportati con le anfore e non tutti sapranno che era la forma dell’anfora ad identificarne il contenuto. Già allora i contenuti del D.Lgs. 109/92 (mi si passi la battuta) erano rispettati. Infatti le anfore con le quali si trasportava l’olio, ad esempio, erano le antesignane della bolla di spedizione. Sul collo di tali anfore era infatti indicato il peso dell’anfora, il nome dell’esportatore, il peso dell’olio contenuto, il nome del podere produttore e del proprietario.
Recandosi al mercato era quindi possibile avere informazioni certe sull’alimento che si voleva acquistare, solamente osservando la targa apposta sull’anfora.
Le etichette di oggi si contraddistinguono dalle loro antenate  per il sistema in cui sono strutturate e, naturalmente, per il loro contenuto sicuramente più esaustivo.
Ma andiamo ad analizzarle.
La prima informazione che compare in alto è la “denominazione del prodotto”, che non deve essere confusa con il marchio di fabbrica o con altri nomi di fantasia attribuiti al prodotto, che in ogni caso  non possono sostituire la denominazione.

Nota
Nel caso in cui il prodotto sia sprovvisto di un “nome” riconosciuto, può essere indicata la descrizione del prodotto accompagnata, se necessario, da informazioni sulla sua natura e utilizzazione (ad esempio: “crema dolciaria da spalmare”).

Attenzione a non farsi trarre in inganno dalla “libera immagine” utilizzata nella confezione, che molto spesso viene usata per “depistare” il consumatore.
L’esempio tipico è una confezione contenente il solo preparato per la pizza a piatto dove viene raffigurata una pizza cotta comprensiva di olive e mozzarella che però non sono presenti nella confezione. Se guardate attentamente nella confezione, scoprirete che da qualche parte, con caratteri microscopici, è riportata la dicitura che vi avverte che è solo una “libera immagine”.

Anche il prezzo che compare sullo scaffale o sulla confezione deve essere guardato con attenzione.
Anche se è ormai assodato che il venditore deve attenersi al prezzo esposto e che non può chiedere di più di quello indicato dicendo magari che il prezzo è cambiato o che c’è stato un errore, occorre fare attenzione al fatto che oltre al prezzo unitario della confezione sia riportato anche il prezzo riferito all’unità di misura (kilo o  litro): in questo modo è più facile confrontare prodotti simili e valutarne la convenienza.
Usando queste accortezze, a volte può capitare di accorgersi che la confezione apparentemente più economica in realtà costa di più perché contiene una minore quantità di prodotto.
La qualità del prodotto.
L’etichetta consente anche di capire la qualità di un prodotto, anche se, per amore di verità, è da dire che non tutti i consumatori sono capaci di districarsi con i termini utilizzati.
Un esempio tipico riguarda la classificazione dei polli posti in vendita.
Se sul bancone sono presenti due polli, uno di classe A e un altro di classe A/1, nonostante che per istinto un consumatore è portato a pensare che il migliore sia quello di categoria A/1, nella realtà il migliore è quello di classe A.
Lo stesso dicasi per la camomilla laddove viene riportata  nella confezione la dicitura “setacciata” o “corrente”.
La varietà “corrente” è la migliore, perché, essendo ricavata da tutte le parti del fiore, contiene più olio essenziale di camomilla, anche se il consumatore per istinto sceglierebbe quella “setacciata”.
Lo stesso ragionamento può essere fatto per parecchi altri prodotti.

I dati provengono dal sito www.ilsalvagente.it

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